Una delle definizioni di medicina narrativa più note a livello internazionale è stata elaborata da Rita Charon – medico internista statunitense e fondatrice del Programma in Narrative Medicine della Columbia University – contenuta nel suo libro Honoring the Stories of Illness (2006), dove viene specificato che “la medicina narrativa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare e essere sensibilizzati dalle storie della malattia: aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l’efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessione, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi”.
In breve, integrando la medicina narrativa con l’Evidence Based Medicine – l’approccio terapeutico basato sull’evidenza o sulle prove di efficacia consistenti in studi che dimostrano con certezza scientifica l’utilità di un determinato trattamento medico –, l’operatore sviluppa capacità empatiche e di ascolto, imparando a prendersi cura della persona con il suo vissuto e le sue emozioni, evitando in questo modo di concentrarsi esclusivamente sulla malattia. A questo proposito sono nate diverse metodologie per applicare la medicina narrativa, come le interviste narrative semi-strutturate, la cartella parallela, il diario riflessivo, la story sharing intervention (condivisione di storie in gruppi di narrazione) o i libri di autoaiuto, solo per citarne alcune. Tutto ciò deriva altresì dall’ormai nota relazione tra dimensione narrativa ‒ anche e soprattutto autodiegetica, quando i pazienti si raccontano ‒ e condizioni generali di salute. L’idea è che nulla esista se non viene formattato nella catena crono-sequenziale di una narrazione, e che l’Io possa conoscersi, curarsi, trasformarsi solo per via narrativa.
Oltre alla narrazione autobiografica propriamente detta, la medicina narrativa utilizza diversi strumenti per interpretare il vissuto soggettivo, in particolare attraverso: (i) la biblioterapia, ossia letture di storie che favoriscono lo sviluppo dell’empatia attraverso l’identificazione nei personaggi; (ii) la graphic medicine, che ricorre a graphic novel, fumetti e visual storytelling nell’educazione medica, nella cura del paziente e in altre applicazioni relative all’assistenza sanitaria e alle scienze della vita; (iii) il racconto di sé in terza persona, spesso fondamentale per la rielaborazione di un trauma.
L’intento della narrative medicine è dunque di consentire a un facilitatore di esaminare le sofferte storie di un individuo, ma non da semplice ascoltatore, bensì come un attivo collaboratore nel processo di assegnazione di un ordine narrativo al caos del trauma: l’obiettivo, si badi bene, non è tanto la riformulazione di eventi difficili quanto la creazione di una tipologia narrativa coesa rispetto all’accaduto, che va, come dire, classificato in un preciso genere “letterario”. Un esempio di questo processo riguarda il cosiddetto “metodo moviola”, in cui l’episodio traumatico è ripetuto a rallentatore, concentrando l’attenzione sui singoli momenti per riconfigurare il setting e gli attanti originari: ripristinando eventi desolanti, riusciamo prima a capire che cosa ci è accaduto e poi il significato degli accadimenti.
A fronte dell’incapacità di accettare un trauma, le vittime preferiscono affidarsi alla memoria narrativa (plot) anziché a quella traumatica (fabula), e poichè in molti casi la memoria narrativa è costituita da frames e scripts normotipici, letteralmente il trauma non rientra nei canoni di una narrazione: non fa racconto. Affinché la memoria traumatica sia ripristinata è necessario che venga innescato un elemento dell’esperienza traumatica, cui è probabile seguiranno altri elementi in grado di ricostruire il ricordo reale dell’evento: questo innesco è spesso l’incipit della storia, da cui possono discendere con naturalezza gli episodi successivi, in modo tale che i frammenti della narrazione siano messi in ordine sequenziale per costruire una fabula. Dalla fabula al plot: un cammino che la narratologia e la teoria della letteratura nata dal formalismo russo hanno già percorso e che ha illustri ascendenti e radici nella teoria della letteratura, di cui il SSD L-FIL-LET/14 è l’erede designato.
Per approfondimenti:
Calabrese S., Conti A. (2023), Vivere di storie. Seminario su Maupassant e la neuronarratologia, Roma, Carocci.
Calabrese S., Conti V., Fioretti C. (2022), Che cos’è la medicina narrativa, Roma, Carocci.
Calabrese S. (2020), Neuro-cognitivismo e narrative medicine: i mondi possibili del settore scientifico disciplinare L-FIL-LET/14, in “Comparatismi”, 5, pp. 21-33.
Calabrese S. (2020), Trauma e racconto, in “Testo e Senso”, 21, pp. 1-14.
Calabrese S. (2019), La ‘graphic medicine’: curarsi con i comics, in “Griseldaonline”, 18(2), pp. 117-136.
Calabrese S., Nedkova D. (2019), Narrative Therapy of the Sporting Body, in “Testo e Senso”, 20, pp. 1-9.
Calabrese S. (2017), La fiction e la vita. Lettura, benessere, salute, Milano, Mimesis.
Calabrese S., Luziatelli M.-F. (2017), Creativity and Autism Spectrum Conditions: a Hypothesis on Lewis Carroll, “Enthymema”, 17, pp. 225-236.
Calabrese S., Uboldi S. (2015), Identità e narrazione. Raccontare per sopravvivere, in “Anemos”, pp. 18-20.