Le recenti acquisizioni neuroscientifiche e la loro applicazione in ambito estetico e narratologico offrono un’ulteriore spiegazione alla massiccia diffusione delle immagini avvenuta negli ultimi decenni anche a livello narrativo e ci permettono di comprendere ancora più a fondo il motivo e il modo in cui veniamo catturati dalle rappresentazioni iconiche. Il visual storytelling è pertanto considerato una tipologia narrativa proto-adamitica rispetto a quella verbale, in quanto rappresenta una dotazione biologica e cognitiva disponibile all’uomo per trasmettere concetti in maniera semplificata o più emozionalmente attraente. Oggi questo codice proto-adamitico ha incontrato le risorse iconiche del web e ne è risultato potenziato, con qualche ineludibile trasformazione e arricchimento: esistono diversi studi sperimentali che mostrano le potenzialità del visual storytelling per lo sviluppo di alcune capacità nei nati nel terzo millennio, in particolare le competenze inferenziali e predittive, la facilità nel provare empatia e nell’etichettatura di frames e scripts delle narrazioni.

Tutto questo sta comportando un mutamento della retorica narrativa, e niente come la produzione attiva di narratives da parte dei bambini attuali mostra sul nascere questi mutamenti strutturali. Il format dello storytelling si sta trasformando rapidamente, e con esso le abitudini rappresentazionali del tempo e dello spazio, il ruolo dei characters, soprattutto la perimetrazione degli eventi – divenuta quest’ultima sempre più complessa e necessaria, perché il flusso esperienziale da sottoporre a segmentazione è divenuto un fiume in piena di megabyte. Ebbene, oggi la comunità scientifica sta prendendo coscienza e raccogliendo prove del fatto che nulla come il disegno sequenziale eseguito dai bambini stessi o la lettura di iconotesti sequenziali (silent books, picture books o graphic novels a seconda dell’età) possa evidenziare i cambiamenti radicali degli stili di lettura e di produzione narrativa, caratteristici di una civiltà fondata sul sapere digitale.

Qualsiasi romanziere contemporaneo, sia pure ritenuto avanzato – da Bret Easton Ellis a Emmanuel Carrère –, rivela immediatamente un’origine neuro-cognitiva radicata nel Novecento. I bambini no: esprimono un potenziale innovatore che ci può fornire schemi predittivi su quello che accadrà nei prossimi anni. Il disegno sequenziale sta diventando un utensile cognitivo e creativo senza uguali in una prospettiva intergenerazionale, ma ancor più nella fascia d’età che va dall’infanzia all’adolescenza.

Per approfondimenti:

Calabrese S. (2021), Visual storytelling e millennials: la nuova retorica visiva dei bambini, in Della Gala B., Torti L. (a cura di), Pixel, Modena, pp. 199-224.

Calabrese S. (2019), Quando l’immagine domina la parola. Genesi neuroscientifica di un primato, in “Symbolon”, 9-10, pp. 345-361.

Calabrese S. (2020), Un matrimonio semiotico tra parole e immagini, in E. Bacchereti, F. Fastelli, D. Salvadori (a cura di), Il Graphic Novel: un crossover per la modernità, Firenze, Firenze University Press, pp. 5-20.

Calabrese S. (a cura di) (2022), Dopo il Covid. Racconti e immagini della pandemia, Milano, Mimesis.

Calabrese S., Broglia L. (2022), Castelli di sabbia. L’architettura cognitiva e narratologica del “constructive play”, in “Symbolon”, 13, pp. 83-106.

Calabrese S., Broglia L. (2022), Il linguaggio adamitico delle immagini: Riflessioni narratologiche sul disegno sequenziale dei bambini, in “Comparatismi”, 7, pp. 478-495.

Calabrese S., Conti V., Broglia L. (2021), Elogio della visual literacy, in “Enthymema”, 27, pp. 90-113.

Calabrese S., Conti V. (2020), Cromie nelle storie, in “Liber”, 122, pp. 22-25.

Calabrese S., Zagaglia E. (2017), Che cos’ è il graphic novel, Roma, Carocci.