Si potrebbe pensare che quando raccontiamo la nostra vita quel racconto sia di nostra pertinenza: affari nostri, inventati da noi. E si potrebbe credere che quando un romanziere scrive una storia, quella storia sia una sua creatura: roba sua, inventata da lui. Ma le cose non stanno così. Solo da qualche anno la psicologia sociale ha iniziato a studiare il modo in cui il senso di appartenenza collettiva e l’autodefinizione degli individui possono prendere forma solo attraverso una narrazione: con l’espressione life-narrative account si intende appunto il modo in cui gli individui costruiscono la propria storia esistenziale secondo intrecci pre-formattati, che siano in grado di dare un significato a ciò di cui hanno fatto e faranno esperienza. Esistono schemi narrativi comuni non solo a Stati-nazione, come volevano i positivisti dell’Ottocento, ma a macro- aggregati multilinguistici e di complessa costituzione come l’Europa? A questa domanda Dan McAdams ha dato una risposta positiva almeno per ciò che riguarda la placca euro-nordamericana, dopo avere analizzato con strumenti informatici avanzati un ampio campione di racconti autobiografici di persone comuni.

La scoperta è stata la seguente: dopo secoli di laceranti conflitti, radicati nella memoria collettiva, la storia europea più recente e in parte quella nordamericana sembrano potersi riassumere in un Racconto Originario che Dan McAdams chiama “redemption narrative”, fondato sull’idea di un riscatto progressivo dell’individuo da un passato difficile. Le storie che ci raccontiamo o che ascoltiamo, il modo in cui tendiamo a configurare la nostra esistenza di cittadini euro-nordamericani passerebbero sostanzialmente attraverso alcuni stadi: da quello in cui, durante l’infanzia, il protagonista ha vissuto in prima persona o ha potuto essere testimone delle ingiustizie subite da altri individui, a quello in cui, nell’età adulta, l’insorgere di ulteriori eventi negativi viene affrontato dal protagonista come “azione di riscatto e redenzione”, in una prospettiva di fiducia nel futuro soprattutto per le generazioni future.

Se è del tutto evidente la ragione storica che ha condotto gli europei e i nordamericani all’adozione di uno stesso format narrativo, il differenziale più marcato è nei confronti di una placca orientale del mondo (soprattutto cinese e giapponese), dove le life-narratives tendono ad avere protagonisti collettivi e ad essere orientate al passato comunitario. Le macchine narrative orientali sono a trazione anteriore, perché tutto è stato deciso nel passato e tutto vi ritorna; le macchine narrative euro-americane sono a trazione posteriore, poiché tutto viene elaborato lentamente dal singolo individuo nella prospettiva di qualcosa che verrà.

Le storie insomma ritualizzano il passato e insieme configurano il futuro, sono dei ricordi di un futuro immaginato, e per questo interessano la comunità scientifica. Ma è un peccato che McAdams si sia fermato qui e non abbia compreso come le life-narratives costituiscano il prezioso plancton di cui presto o tardi qualche grosso cetaceo si ciberà. I cetacei sono i bestsellers: narrazioni che si nutrono di realtà per poi alimentare a propria volta enormi platee di lettori, e in grado di riprodursi con straordinaria facilità proprio perché, darwinianamente, si adattano meglio agli ambienti culturali in cui si trovano ad agire.

Per approfondimenti:

Calabrese S. (2019), Gli arabi e lo storytelling. Dalle origini a Giulio Regeni, Meltemi, Milano.

Calabrese S. (2018), Storie di vita. Come gli individui si raccontano nel mondo, Milano, Mimesis.

Calabrese S., De Blasio A., Di Prazza B. (2018), “Homo Europaeus”? A comparative analysis of advertising, in “Enthymema”, 21, pp. 62-72.

Calabrese S. (2017), L’Oriente e il family novel necessario, in “Enthymema”, 20, pp. 52-63.

Calabrese S., Conti V. (2017), Storytelling del mondo arabo, in “LI.B.E.R. Libri Per Bambini E Ragazzi”, 114, pp. 39-42.

Calabrese S. (2016), Self occidentale, Self orientale: per una narratologia interculturale, in “Enthymema”, 15, pp. 115-132.